Simone Azzu e Martino Corrias
Il Pubblico Bene nasce dall’esigenza artistica di Simone Azzu e Martino Corrias di confrontarsi su temi, sonorità, immagini e narrazioni che riguardano la terra in cui sono nati. È una performance di carattere ibrido fra il teatro, il concerto di musica elettronica, una forma ritualistica e un esito audio-visivo. Il focus dello spettacolo riporta alla Sardegna: territorio percepito come esotico, si manifesta come paradigma dello sfruttamento del suolo, delle risorse e della popolazione, in un preciso scollamento fra le necessità degli abitanti e quelle del capitalismo.
Il passaggio interessato da queste riflessioni riporta al sottile passaggio dall’antropocene al capitalocene, come teorizzato da Jason W. Moore. È giusto parlare di antropocene nelle leggi fisiche: il peso dell’uomo interviene sul peso climatico e ne diventa una forza tellurica. Ma dire ciò implica la distribuzione delle stesse responsabilità su tutti, dalla City di Londra alla foresta brasiliana. È piuttosto la gravitas del capitale che impone il cambiamento, ed è proprio il capitalismo che si impone in quanto forza organizzativa di questo. Ci sarà, infatti, sempre una élite decidente e una che sopporta le decisioni: il cittadino passivo rinasce e, nella performance, dal canto della culla e del bosco, assume il microfono e grida, sbraita, distrugge. Decide di aderire alla devastazione della sua stessa terra, quantomeno per avere un ruolo che lo riporti al superamento dell’inattività. Se il bene non è permesso, allora che si permetta il male (da Dostoevskij: se Dio non esiste, allora tutto è permesso, I fratelli Karamazov).
Il canto sardo, nella variante del Cuncordu, viene interpretato e si interseca con i temi, per l’esecuzione di un rituale antico, eseguito da figure contadine che interagiscono con la propria terra e con il silenzio: come si inserisce questo canto antico e latente nel suono delle trivellazioni e delle industrie? Il contadino che canta si ammala del tumore provocato dai fumi della fabbrica vicina, aperta con l’ambizione progressista di una vita migliore? Che cosa è esattamente una vita migliore? A partire da questi interrogativi nasce l’esigenza di una drammaturgia con dei personaggi non chiari e non definiti, talvolta distaccati nella parola e straniati da loro stessi, talvolta immedesimati nelle lacrime e nell’assenza. Ma che cosa è assente? È assente la comunità, intesa come gruppo di persone che godono di uno stato comune e pubblico, definendosi come Bene. Cosa è il Bene Pubblico, si chiede il personaggio? Si esorta continuamente di difendere il Bene Pubblico. Ma ciò che è pubblico, esattamente, di chi è? A chi appartiene ciò che, usufruibile da chiunque, è funzionale a pochi? Ad esempio, tutti possono andare nella spiaggia di Porto Cervo, esistono leggi che ci dicono della possibilità di questo. È permesso. Ma chi ha davvero il potere di partecipare alla vita decisionale della spiaggia di Porto Cervo? Chi può essere qualcosa di più d’un semplice bagnante? Il cittadino ha un diritto di parola e d’espressione, oppure può solo goderne nei semplici termini di cittadino mordi e fuggi, che utilizza e – pensa – di goderne ma che poi deve andar via, tornare nei suoi spazi, nelle periferie residenziali, nei dormitori urbani?
Il dialogo fra Azzu e Corrias - voce antica e musica contemporanea - si muove sullo sfondo scenografico della proiezione di un montaggio di riprese del paesaggio immacolato e ameno dei decenni passati, in bianco e nero, per una percezione del tempo trascorso e irrimediabile: appare, mai come in questi ultimi anni, che ciò che è stato non sarà più e sarà ineluttabile del suo cambiamento. L’uomo passa e non lascia che i suoi resti, perdendo ogni contorno armonico con la natura, determinandosi in un suono figlio del fastidio, del disagio, del profitto fine a sé stesso, in un cambiamento accelerato (Eriksen) che non propone, ma che sa solo assumere senza restituzione.
Il materiale d’archivio, concesso da Sardegna Digital Library e dall’Archivio Fiorenzo Serra, si mostra come una vera e propria opera cinematografica: il voice-over di Azzu – dall’esterno, in live e fra il pubblico – accompagna, immagina, interagisce con il canto antico in sardo e il lavoro di Corrias. Ogni scena presenta tinte, ritmi e visioni che portano a determinate tematiche e legami emotivi-intellettuali annessi. Essi vengono codificati musicalmente in atemporali paesaggi sonori che contornano una Sardegna quasi- mitica; in rivoltosi movimenti di
batteria preparata che emulano i macchinari industriali, impiegati nel ridare spazio alla natura laddove l’uomo esercitò il suo ego; in elogi ai suoni e strumenti folkloristici, campionati e processati digitalmente in accompagnamento a vibranti sintetizzatori polifonici che creano una commistione temporale e stilistica tra il folk isolano e l’elettronica.
Infine, il personaggio attuato da Azzu soffre di solitudine. Si domanda come l’individuo singolo possa rapportarsi a questo tipo di dinamiche. Si chiede: perché non agiamo tutti? Perché io e soltanto io ho il microfono? La risposta ipotetica viene dagli studi di Bourdieu e di Csordas: non abbiamo un habitus che ci plasma come esseri sociali. Le nostre risposte sono plasmate dalla cultura che ci circonda e a cui siamo esposti dalla nascita. Non siamo completamente determinati da cultura, società, contesti familiari, ma c’è di mezzo uno spazio dialogico che è il corpo inteso come: noi entriamo nel mondo non come una mente dentro un corpo; noi entriamo nella realtà come corpo con cui, prima di conoscere razionalmente, ci approcciamo tramite il corpo. In parte il corpo plasma la realtà in un modo che è pre- razionale e pre-logico, ma non è pre-culturale perché comunque quel corpo viene plasmato dall’habitus. Da una parte l’habitus dice: i corpi non sono oggetti trascendentali. Ogni corpo è storicamente specifico e contingente: ci sono delle contingenze che lo determinano. Ad ogni modo è il terreno con cui significhiamo il mondo. Non c’è una mente che è in un corpo che è nel mondo, ma c’è un soggetto che conosce e significa attraverso il corpo.
È in questo vuoto di potere, che permette l’essenza del corpo e la sua presenza, in un vero e proprio spazio e tempo, che si inserisce la voce del personaggio e la sua azione, il rapporto con l’immagine, con ciò che è stato e che non sarà, con l’assenza, con la presenza, con la sopportazione di sé stesso e dell’altro.
Il Pubblico Bene prende forma e ha il suo primo esito in forma di studio presso il DAS – Dispositivo delle Arti, a Bologna, nella primavera del 2024.
Simone Azzu è nato in Sardegna nel 1994 e vive a Bologna. Si forma come pianista presso il Conservatorio L. Canepa di Sassari e, fin dall’infanzia, lavora con il teatro come attore e performer, dapprima nel contesto sardo dei musical, delle operette e del teatro ragazzi, con varie incursioni nel teatro drammatico, con importanti collaborazioni con i maggiori registi e interpreti dell'isola, e con artisti del calibro di Lola Quivoron (per ARTE.fr) e la compagnia portoghese CasaBranca per Sardegna Teatro, Groundlings Theatre (Portsmouth, UK), Alberto Salvucci e TY1 (Universal Music Group) e molti altri.
Dal 2018 al 2021 ha collaborato con il Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards, il prestigioso centro di ricerca teatrale, in contesti sociali, con performance in Italia, Turchia e Francia. Il lavoro ha permesso lo sviluppo di un ampio repertorio di canti rituali di tradizione sarda. Il periodo vissuto intensamente con il Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards è stato fondamentale per la formazione di performer, interagendo con studiosi e luoghi d’élite dello spettacolo mondiale. Ha vissuto fra la Francia, il Portogallo e la Spagna per alcuni anni, avvicinandosi alla cultura flamenca e collaborando con realtà come Cose di Amilcare (Barcellona) e Teatro Remiendo (Granada). Dal 2019 collabora a stretto contatto con il Teatro Ridotto di Bologna, fondando e diventando il responsabile della Biblioteca Torgeir, Biblioteca teatrale inaugurata nel dicembre 2021, all'interno della cornice DAMS50. Compositore e drammaturgo, da diversi anni collabora ed è rappresentato da Otago Literary Agency come scrittore. Alcuni lavori sono in fase di pubblicazione. Si laurea in magistrale in Italianistica, Scienze Linguistiche e Culture Letterarie Europee presso l’Università di Bologna con una tesi in Storia del Teatro con il Prof. De Marinis
Martino Corrias è nato in Sardegna e nel 1999 e vive a Bologna. Nella sua ricerca e sperimentazione musicale combina il mondo sonico naturale a quello elettronico. Di formazione classica, con il tempo mostra particolare interesse per il mondo elettronico: in questo cerca di ritrovare quella naturalezza data dagli strumenti in legno e dalle registrazioni su campo in mezzo alla natura, scomponendoli e fondendoli con suoni sintetico-metallici in un'atmosfera da club underground, cogliendo ora gli elementi più melodici della rave ora quelli più graffianti.
Dopo i successi delle pubblicazioni del 2021 dei singoli di deconstructed club, Gale e Digital Blue, acclamate da varie webzines europee. Digital Blue viene presentato all'esposizione curata dal collettivo bergamasco "Mostrami" e suonato nello Spazio a bordo del Blue Origin NS-18 da Dr Chrispy, musicista e ingegnere aerospaziale; nel 2022 il rave remix di Martino del brano Max del duo norvegese Smerz, è presente nel track ID del mix di Goth Jafar, dj americana apprezzata da artisti di fama mondiale come FKA Twigs, Sega Bodega ecc., preparato per la famosa rivista britannica The Face. Nello stesso anno collabora con Sardegna Abbandonata in due occasioni: i 10 anni della realtà urbex in Sardegna con un pezzo composto per l'occasione presente nel tape 2.2.2.2 e l'esposizione del progetto audio-visivo X sulle miniere sarde. Nel 2023 sonorizza l’amacario dell’architetto Careri del Collettivo Stalker, esposto per l’intera estate presso l’EXATR di Forlì.
Credits:
Regia, drammaturgia e attuazione di Simone Azzu.
Musiche di Martino Corrias.
Progetto video di Claudia Virdis.
Il materiale video è tratto da Sardegna Digital Library – concessione: Regione Autonoma della Sardegna, e dall’Archivio Fiorenzo Serra degli Eredi Serra: Simonetta, Antonio e Paolo
Sound engineering di Stefano Daga
Produzione SHIP – Centro di Produzione Culturale
Con il sostegno di Circolo Sardegna Bologna e DAS – Dispositivo Arti Sperimentali